Riassunto: Un’idea

Immaginate per favore il protagonista della novella Un’idea … un giovinotto (innominato), gentile e senza pretese, che ha una professione ma è anche infelice e confuso … afflitto dai dubbi seri e dolorosi sulla direzione della vita sua. Il fatto che i suoi amici, nel confronto, sembrano felici serve solo a rafforzare i suoi dubbi sull’inutilità della propria vita. In tempo, il giovinotto diventa ossessionato dai suoi dubbi (che sono una presenza costante) e forse depresso.

Allora … cosa fa questo giovinotto tormentato? Mamma mia! sceglie d’aver una relazione amorosa con una donna matura, qualcuna sia benestante che di spirito libero, qualcuna che potrebbe effettivamente esser una parente! Possiamo ben immaginare come una tale relazione abbia ulteriormente complicato la vita del giovinotto, servendo come una fonte del rimpianto e, forse, di disperazione.

Ma … è possibile una trama del genere? Inizialmente, abbiamo pensato, “No, una cosa del genere non potrebbe mai accadere!” … “Un giovinotto, incerto del suo futuro, coinvolto con una donna matura, una sua parente? Mai! … impossibile!”

Ma poi … ci è venuto in mente che Pirandello potrebb’esser stato davvero in anticipo del suo tempo! Abbiamo considerato, ad esempio, il film The Graduate, una commedia (drammatica-romantica) del 1967 che racconta la storia d’un ventunenne Benjamin Braddock, un neolaureato senza scopo ben definito di vita, sedotta da una donna matura, la signora Robinson. 

Esistono alcune somiglianze, giusto?

Allora … ci chiediamo cosa ne pensiate tutti voi: siete d’accordo che siano simili le trame di Un’idea e The Graduate?

***

Lasciata la solita compagnia nel caffè (tra i lumi e gli specchi pieno di fumo) si trova davanti la notte: vitrea, quasi fragile nella purezza degli astri sfavillanti sulla vastissima piazza deserta.

La storia di Un’idea (L. Pirandello) si svolge in una città senza nome; è tardi sera, e un giovinotto, il protagonista, ha appena lasciato un caffè dopo aver salutato i suoi amici. Una volta fuori, lui prende nota dell’immenso cielo sopra e anche prende nota della ‘vasta’ e deserta piazza di fronte a lui.

Impariamo che il giovinotto intende attraversare la piazza, ma esita, profondamente preoccupato. Per lui, la traversata sembra esser un compito impossibile, qualcosa coinvolto nel proprio passato.

Attraversarla, gli pare impossibile; la vita, in cui deve rientrare, irraggiungibilmente remota da essa; e tutta la città come da secoli disabitata, coi fanali che ancora la vegliano nel chiarore misterioso di quella gelida azzurrità notturna. Impossibile il rumore dei suoi passi in quel silenzio che pare eterno.

Mentre esita, immagina come potrebb’esser la vita se non attraversasse la piazza;

Ah se davvero per prodigio si fosse spenta la vita della città! Seduto come un mendico sul paracarro all’imboccatura della via, davanti la piazza, rimarrebbe come quei fanali vani a mirare e sostenere la stupefazione immota di tutte le cose ormai vuote per sempre d’ogni senso.

… ma questo pensiero non sembra mai preso in seria considerazione, sembra invece esser più simile a una fantasticheria, qualcosa che è stato presto scartato.

Si scuote alla fine da quel fascino, per attraversare la piazza.

Inizia la traversata, ma—inspiegabilmente e senza preavviso— il suo umore si alleggerisce e sembra svanire la sua preoccupazione!

Leggero come un’ombra, il suo corpo; e, andando, nessun rumore. Dov’è più il peso di cui s’è sentito gravare poc’anzi? Tutt’intorno, ora, la città ha come una vaporosa evanescenza di sogno; e il suo corpo vi si muove quasi fluido, ombra tra ombre.

A questo punto della storia, impariamo qualcosa di più della preoccupazione del giovinotto. Non coinvolge, ad esempio, una malattia potenzialmente letale o un trauma fisico o una difficoltà finanziaria. No! È invece un’idea … qualcosa imprecisa, vaga, mal definita ed anche imprevedibile: sembra venire ed andare al suo piacimento, cioè, senza apparente rima o ragione.

È dunque un’idea. Ancora, sempre quella idea ch’egli non riesce in alcun modo a precisare. Appena ne avverte confusamente la presenza, si sente opprimere da quel peso. Appena gli svanisce, ecco: vuoto come un’ombra.

(Ci chiediamo infatti se quest’idea risieda per la maggior parte nella sua mente subconscia, solo per manifestarsi di volta in volta nella sua mente cosciente.)

Allora … qual è l’idea / la preoccupazione? Purtroppo possiamo solo supporre—dato che i dettagli disponibili a noi sono scarsi e frammentati—ma il nostro senso è che il giovinotto abbia seri dubbi sul significato e sullo scopo di vita sua.

E come sono sorti questi dubbi? Da confronto! Il giovinotto è infelice mentre i suoi amici sono tutti felici e spensierati: loro sembrano vivere in modo semplice e senza sforzo.

(Ah! L’ironia e la dolorosa inesperienza / immaturità della giovinezza: “Age is a terrible avenger. The lessons of life give you so much to work with, but by the time you’ve got all this great wisdom, you don’t get to be young anymore.” Elizabeth Wurtzel)

E infine vediamo che i suoi dubbi potrebbe benissimo averlo fatto diventare cinico.

Ma non dev’essere dell’idea, quel peso. Il peso è del tempo che perde a guardar vivere gli altri. Non riesce più a capirne la ragione, o meglio, aspetta di capire che altro vi stiano a cercare, se è questa la vita, così tutta fatta di cose che si sanno, usuali e necessarie, le stesse ogni giorno, magari con l’illusione che ogni tanto ce ne possano esser di nuove solo perché hanno preso un giro più largo, con qualche imprevisto in principio, una sensazione insospettata, tanto da parere che s’apra un altro mondo, e poi o ci s’abitua poco dopo o si ricasca subito, delusi, nel solito d’una indifferenza continua. Prova per la mollezza di certe sue bontà, tutte un po’ artificiose, un tale schifo che, tante volte, a ripensarci, vorrebbe essere piuttosto una bestia feroce. E queste donne che si guastan la faccia per farsene una maschera! Se domandi a qualcuna: – A che pensi? – non pensano a nulla; ma basta che tu gliel’abbia domandato, perché subito s’affacci loro alla mente qualcosa che non ti possono dire.

Sebbene il motivo non sia chiaro, il giovinotto sembra anche esser imbarazzato dalla propria vita.

Come svegliare le gatte. E la vanità di tutti questi segreti ragionamenti, sempre con un sorriso da scemo pronto sulle labbra a un minimo richiamo dei cari amici che ti burlano perché non sai dir loro che cos’hai né che cosa vuoi. Il peso è questo. Mentre forse, per sé, quell’idea è la cosa più lieve, la più semplice e, chi sa? la più comune, forse.

Nel tempo il giovinotto attraversa la piazza, ma prima di continuare, fa una breve pausa per considerare le implicazioni del suo viaggio.

Ha attraversato la piazza. Prima d’entrare nello stretto delle case torna a fermarsi. Andare a chiudersi, nell’animo in cui è, più che nausea gli fa paura.

Svoltando a destra, il giovinotto entra in una lunga viale che conduce al fiume e ad un ponte.

Prende a destra per il lungo viale che conduce al ponte e, di là, ai sobborghi solitarii oltre il fiume.

Il ponte sembra rappresentare qualcosa inquietante … il che ci porta a chiederci se l’idea del giovinotto lo abbia portato a considerare il suicidio.

È certo che tornerà indietro appena giunto al ponte. Sul ponte non salirà. Senza volerlo avvertire, un brivido, solo a pensarci. Il freddo è pungente; perfino il selciato ne sembra illividito. Nota, camminando, che ogni qual volta passa sotto una delle lampade elettriche sospese alte in fila in mezzo al viale, l’ombra del suo corpo s’allunga, crescendogli curiosamente da un piede e dall’altro, e più s’allunga e più si rarefa, finché non svanisce. Anche l’ombra del suo corpo, come quell’idea.

Quasi immediatamente però il giovinotto tenta di razionalizzare i suoi pensieri,

Non può più illudersi che, la mattina dopo, ristorato dal sonno della notte, si scrollerà d’addosso il ricordo di quei momenti d’ossessione, esclamando per non dar loro importanza:

– Stanchezza!

… mentre al tempo stesso ammette d’aver usato questa razionalizzazione con una certa frequenza nel recente passato.

Troppe volte ha esclamato così. Gli pare ormai l’esclamazione d’un altro, per certi conforti che, inutile darli, eppure si danno. Se è veramente stanchezza, del resto, non essendo più di momenti e non bastando più il sonno né altro a fargliela passare, che sollievo e che conforto può più essere per lui chiamarla così quell’idea?

Poi, impariamo che i problemi del giovinotto sono esacerbati dalla sua incapacità di precisare ciò che lo disturba.

E non è neppure disgusto di quella sua vita. No, è che proprio non lo sa che cosa sia precisamente né donde gli venga, ormai così spesso, quell’idea, come un arresto improvviso che lo tiene sospeso e assorto in una opaca attesa.

(Possiamo ben immaginare quanto sia difficile tentare di risolvere un problema difficile da discernere … e anche come d’un tale problema potrebbe portare ad una preoccupazione di vecchia data che, a volte, era estenuante.)

Perso nei suoi pensieri, il giovinotto è sorpreso di scoprire che è arrivato alla sua destinazione. È una casa in un quartiere benestante … un luogo però che il giovinotto ha promesso molte volte d’abbandonare per sempre … solo di tornare.

Ma come? È già entrato?

Da sé, i suoi piedi, in un portone ben noto di quel viale; e hanno anche salito la prima rampa d’una scala per cui altre volte, di tempo in tempo, egli è salito con una vaga speranza nel cuore, e da cui ogni volta è disceso col proposito di non tornare a salirla mai più.

Il giovinotto entra in casa e si dirige nel buio verso un ufficio.

Una saletta, e poi lo scrittojo, tutto in ombra, rischiarato soltanto sui grandi fogli bianchi d’un registro aperto sul piano della scrivania. Traspare appena in quell’ombra un paralume verde di vetro. E su quei fogli illuminati due mani rosee, piccole, con tante fossette quante sono le dita.

Qualcuna, dormendo, è svegliata dalla sua presenza; il giovinotto sente una voce familiare.

Dall’ombra viene una voce. Senza sorpresa, senza rimprovero, quasi sbocciata da un lieve, lieto sorriso:

– Ah tu ancora qui?

Si avvicina alla voce, che appartiene a una donna matura con la quale, impariamo, ha avuto una relazione romantica! 

Bisogna far gli occhi a discernere in quell’ombra; ma lui ci vede e va diritto alla voce e ha, come al solito, le mani troppo pronte; come al solito lei gliele prende e, più che respingerle, fa il gesto di restituirgliele. Così non le vuole; neppure se egli fosse ancora il suo fidanzato.

Tutto ciò nonostante, il giovinotto è stato assente negli ultimi quattro mesi.

Ah, lo è ancora? Bel coraggio! Non si fa più vedere da quattro mesi. Lei non l’ha richiamato; ma non lo richiamerà mai lei. 

Impariamo che il giovinotto è un contabile in una banca, un lavoro che è una fonte d’orgoglio.

Se vuol venire, è sempre il benvenuto, e la troverà tutte le sere al lavoro, in casa, dopo il servizio giornaliero alla banca, là coi suoi registri e tra le sue cifre, e due penne, già, e due inchiostri, cifre rosse e cifre nere, regoli, matite e la macchinetta per le operazioni automatiche.

E poi, mamma mia! apprendiamo che il giovinotto e la donna matura potrebbero esser imparentato l’uno l’altra.

– Zia!

La donna matura si addormenta di nuovo.

Inutile svegliarla, povera zia. Dorme al solito sul divano, fingendo di lavorare a maglia. S’ostina ad aspettare, così con gli occhiali sul naso, che lei abbia finito, per andare a letto insieme. La testa le ciondola ora su una spalla ora sull’altra; le mani le sono scivolate in grembo: anche gli occhiali a momenti le scivoleranno dal naso.

E poi, mentre lei dorma, il giovinotto sembra ricordare una conversazione del passato … da questa conversazione ci sembra chiaro che la donna matura avesse sempre avuto il suo programma per la relazione e che non si innamorasse mai del giovinotto in modo tradizionale, cioè, non era mai affettuosa e premurosa, non si era mai veramente impegnata con lui. Infatti, il giovinotto sembra esser stato solo un’opportunità per lei: come si potrebbe dire, lui era semplicemente ‘un mezzo per raggiungere un fine’. 

Quelle cifre? Ma no, che vuole che rappresentino per lei? Il suo lavoro, da eseguire con la massima attenzione. Poi restano lì, per la banca. Non la interessano affatto. E così dicendo, si passa le mani sui biondi capelli lisci e lucidi e gli sorride coi chiari occhi azzurri. La bocca è così fresca e la fronte così serena! Non ha mai desiderii?

– No. Perché averne?

Oh Dio, qualcuno, momentaneo, solo se possibile. È contenta così.

Se lui la sposasse?

Eh sì, perché no, tanto contenta.

(Il giovinotto è il suo ‘boy toy’, vero?)

Una volta che il giovinotto ha capito i veri sentimenti della donna matura su di lui, ha anche rifiutato di impegnarsi a lei.

Ma lui non la sposerà mai. Ora glielo domanda soltanto per sapere che cosa lei gli risponderà.

Bene, lei gli risponde così. E dolce supporlo anche senza crederci.

Impariamo infatti che la donna matura non è disposta a sposarsi … mai! con nessuno! È uno spirito libero con i mezzi e la propensione a fare quello che vuole, ogni volta che l’umore la colpisce. Ha vissuto una vita in cui non era impegnata a nessun altro oltre se stessa.

Per una donna come lei, del resto, meglio non sposare. Non saprebbe immaginarsi in una vita diversa. Questa casetta signorile, benché su al quinto piano, tutta messa con gusto di colori appropriati, tende, tappeti, la soddisfazione che tutto è dovuto al suo lavoro, la tranquillità della zia, qualche piacere che di tanto in tanto si possono prendere, il mese ai bagni o in collina, qualche passeggiata, le feste, con questa o quella amica. Ne ha, sì, qualcuna. E sorride. Perché non dovrebbe averne? E anche qualche giovinotto, perché no! Poche donne sanno sorridere con una così aliena dolcezza. Pare lontana da tutto, lontana anche da sé, come se neppure il suo corpo le appartenga e non abbia il minimo sospetto né dei desiderii che può accendere né del piacere che può dare. E difatti di una piacenza così nobilmente placida e pura, che nessuna bramosia carnale può sorgere in chi la miri. Ma possibile che non pensi a nulla? Almeno al suo avvenire! Vivrà sempre così, in codesto ritegno, sempre con l’aria di ritrarsi da tutto? Ci sono gli altri; c’è la vita, solo a farsi un po’ avanti. Non vuole. I pensieri della giornata, delle cose da fare. Legge, a volte, qualche libro; ma ha così poco tempo per la lettura! Libri di viaggio. Al polo? No. Perché dice al polo? Un’altra bella risata, liquida, schietta, luminosa. La crede proprio così fredda? Eppure, dicono che le donne esquimesi sono invece così calde!

– Io? Non so. D’inverno soffro molto il freddo. Giù le mani. Le ho fredde, sì.

E questo silenzio. Sempre questo silenzio. – Dormo quieta. Sogno di rado.

Il finale della storia è ambiguissimo. Il giovinotto ha lasciato la casa; lo troviamo sul ponte, dove contempla il cielo e il fiume. Contempla anche il suicidio? O contempla forse una nuova direzione per la propria vita?

Sul ponte, quella sera, che purezza d’astri!

Guarda il cielo, per non guardare, giù, l’acqua del fiume. L’idea che non riesce a precisare è forse proprio questa. Ma non ne ha il coraggio. Poggia le mani sul parapetto del ponte; se le sente quasi restituire anche qui, dal freddo della pietra, come prima dal tepore di quelle altre mani. E resta lì, di nuovo assorto, opacamente, in quella sua singolare attesa. Il tempo s’è fermato e fra le cose rimaste tutt’intorno in uno stupore attonito pare che un segreto formidabile sia nel fatto che in tanta immobilità solo l’acqua del fiume si muova.

***

Ecco il link alla canzone Mrs. Robinson, eseguita da Simon e Garfunkle:

E, qui sotto, il testo di Mrs. Robinson, composto da Paul Simon:

And here’s to you, Mrs. Robinson

Jesus loves you more than you will know

Whoa, whoa, whoa

God bless you, please, Mrs. Robinson

Heaven holds a place for those who pray

Hey, hey, hey

Hey, hey, hey

We’d like to know a little bit about you for our files

We’d like to help you learn to help yourself

Look around you all you see are sympathetic eyes

Stroll around the grounds until you feel at home

And here’s to you, Mrs. Robinson

Jesus loves you more than you will know

Whoa, whoa, whoa

God bless you, please, Mrs. Robinson

Heaven holds a place for those who pray

Hey, hey, hey

Hey, hey, hey

Hide it in the hiding place where no one ever goes

Put it in your pantry with your cupcakes

It’s a little secret just the Robinson’s affair

Most of all you’ve got to hide it from the kids

Koo-koo-ka-choo, Mrs. Robinson

Jesus loves you more than you will know

Whoa, whoa, whoa

God bless you, please, Mrs. Robinson

Heaven holds a place for those who pray

Hey, hey, hey

Hey, hey, hey

Sitting on a sofa on a Sunday afternoon

Going to the candidates’ debate

Laugh about it, shout about it

When you’ve got to choose

Every way you look at this you lose

Where have you gone, Joe DiMaggio?

Our nation turns its lonely eyes to you

Woo, woo, woo

What’s that you say, Mrs. Robinson?

Jolting Joe has left and gone away
Hey, hey, hey

Hey, hey, hey

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