Riassunto: Lucilla (ora che s’è guastata con le monache)

Prato al sole, erba nuova, fili di suono, nel silenzio che pare uno stupore. Stupore di come s’accendono qua questi fiorellini d’oro e là bruciano quei rossi.

Comincia così Lucilla (ora che s’è guastata con le monache) (L. Pirandello) che è, secondo noi, una storia sul tentativo iniziale di una donna di unirsi al mondo da adulta … un tentativo, per non dire altro, goffo e senza successo e triste.

All’inizio della storia, viene descritto un bel prato … selvaggio e naturale, è appena oltre le mura d’un convento. È la primavera: in questo momento il prato è soleggiato, e quindi luminoso e caldo … pieno di erba nuova, il prato è anche silenzioso e tranquillo, e c’è un’abbondanza dei fiori gialli e rossi (cioè, come uno potrebbe veder in un dipinto di van Gogh).

Col passare del tempo, tuttavia, e mentre il sole attraversa il cielo, la presenza del convento crea le ombre che invadono il prato e parzialmente lo oscurano.

Ma già comincia a cadere, di sbieco e pericolante sul verde, l’ombra azzurra del conventino

Poi, impariamo anche che c’è una croce in cima alla cuspide del convento … sebbene è corta e tozza, la croce sembra esser capace di gettare un’ombra lunga.

con la tozza crocetta in cima alla cuspide, così allungata che va a sbattere, e si rizza spezzata, su quel bianco muretto a riparo degli orti.

A questo punto della narrazione siamo presentati a Lucilla, la protagonista, che, in netto contrasto con la tranquillità del prato, è angosciata … sembra soffrir un tumulto interiore. Lucilla s’appoggia al muro esterno del convento; per il momento ha smesso di piangere … abbastanza a lungo, cioè, di prender nota dell’ombra lunga della croce.

Lucilla, da un pezzo addossata al muro del conventino, smette di piangere, d’un tratto facendo caso all’ombra di quella crocetta.

Lucilla esprime il suo sgomento,

Possibile, così lunga?

… e lei, apparentemente, condivide qualcosa con la piccola croce tozza, ma non lo sappiamo che cosa precisamente … invece, ciò che sembra chiaro è che Lucilla (antropomorfizzando) invidia la capacità della croce di semplicemente accettar la sua presenza non imponente (senza la frustrazione del volere di più).

Ha sempre pensato, mandando gli occhi fin lassù, che veramente avrebbero potuto anche farla meno tozza, quella crocetta; ma in fondo, non dicendoselo, ha pure approvato ch’essa se ne stia lì quasi accovacciata su quella cuspide puntuta, senza mai desiderio di stirarsi un po’ per diventare nel cielo una crocetta snella, alta.

Poi, mentre continua ad attraversar il cielo, Lucilla prende nota del sole … sembra esser sorpresa dalla sua presenza all’interno dei confini del convento,

Ed ecco che ora il sole, per conto suo, si piglia questo piacere, e anche così inverosimilmente esagerato: bum! fin addosso al muretto…

… e poi si chiede, ‘Come sarebbe la mia vita se dovessi lasciare il convento ed entrare nel prato, esponendomi alla sua tranquillità e bellezza naturale?’

E allora, se lei Lucilla si mette al sole, dove arriverà?

Esce dall’ombra e s’espone al sole sul prato.

In quello che può esser una prefigurazione del finale della novella, vediamo che Lucilla teme che una mossa così audace possa finire male.

O com’è?

Uno sgorbio, di traverso.

Poi, impariamo cosa preoccupa Lucilla. Lei è stata trattata irrispettosamente da qualche tempo (non sarebbe un’esagerazione dirlo per gran parte della sua vita) … esperienze che hanno creato una rabbia feroce, un’intolleranza, un enorme senso di frustrazione.

Il dispetto che ne prova, con la sorpresa e l’incomprensione del fenomeno, si fa rabbia feroce, una rabbia che le torce le viscere dentro come una fune,

Tutto ciò nonostante, sembra che ci sia qualcuno che comprende Lucilla, qualcuno fuori le mura del convento, qualcuno che la tratterà con rispetto.

non appena là sul prato l’ombra di qualcuno che sopravviene si stende accanto alla sua e subito la supera la supera, fino a far parere in un niente, la sua, men che l’ombra d’una bambina.

All’improvviso, Lucilla si rende conto che una conversa è arrivata ad aiutarla. Lucilla però rifiuta senza mezzi termini questi sforzi,

Si volta di scatto (perché ha riconosciuto dall’ombra la conversa che viene a cercarla) e, col faccino contratto dalla rabbia e certi occhi da gatta fustigata, le grida mostrando i pugni:

– No! No! No! Hanno voglia d’aspettarmi, non ci torno! non ci torno più!

… mentre, allo stesso tempo, lei stessa le distanze.

E corre all’ombra, a risedere sull’erba, con le spalle appoggiate al muro del conventino.

Poi, la conversa tenta di ragionare con Lucilla, sostenendo che dovrebbe tornare al convento,

La conversa, a quello scatto furioso, resta lì; la segue con gli occhi; poi fa per accostarsi, ma la vede scattar di nuovo in piedi pronta a fuggire, e si riferma:

– Ma via, non far la sciocca – le dice. – Non sei più una bambina! 

… ma le sue parole, sfortunatamente, sembrano solo infiammare ulteriormente la situazione,

Proprio ciò che fa al caso, in quel momento, per Lucilla.

… e poi Lucilla, davvero infuriata, la respinge,

Tutta un fremito, col volto avvampato dal sangue che, a quelle parole, s’è sentito montare alla testa, torna a stringere i pugni e le viene innanzi gridando:

– Ah sì? lo sai dire? Ma appunto perché non sono più una bambina!

Tuttavia, queste parole portano al rilascio d’un torrente di sentimenti ed emozioni,

Le parole stesse, man mano che le dice, danno questo spettacolo atroce negli occhi e nella bocca di Lucilla: che gli occhi, insanguati dal pianto e fosforescenti dalla rabbia, schizzano lagrime,

… e adesso, finalmente, arriviamo a capire che Lucilla—proprio come la croce—è anche corta e tozza.

e subito, con quelle lagrime, nel faccino piccolo da bambina, diventano occhi da grande; mentre, nella bocca digrignata, la voce, la voce diventa quella d’una donna che già sa tutto.

Poi, la conversa fa un nuovo tentativo di ragionare con Lucilla ma fallisce ancora una volta; lei gira le spalle a Lucilla e se ne va.

La conversa, a questo spettacolo, si chiude in sé rattristata; par che diventi più gialla e più magra; non trova più nulla da dire; cava dallo scialle nero che le pende dalle spalle le mani, due mani secche che pajono di pietra logora, e le congiunge per scuoterle pietosamente.

– Ma che vuoi fare? – le domanda alla fine. – Dove vuoi andare? 

E Lucilla, scrollandosi:

– Lo so io! Non ve n’incaricate!

Quella si muove per ritornare al convento. Fatti due passi, si volta appena, per nascondere il pianto, e, indicando con una di quelle mani, sospira:

– Il tuo conventino… 

E se ne va.

Nonostante quello che è appena successo, le parole della conversa hanno lasciato un’impressione, e Lucilla esita mentre considera il loro significato.

Resta della voce, nel vano dell’aria, come l’ombra di quello che c’era: il rimpianto e il rimprovero. E Lucilla guarda il conventino.

A questo punto della narrazione, ci viene spiegato lo sfondo di Lucilla. È nata nel convento ed è orfana: suo padre, un segrestano del convento e uno particolarmente gentile con lei, è morto di recente, mentre sua madre è morta mentre la partorivavent’anni fa. Lucilla è da sola al mondo (non ha fratelli o sorelle). Lucilla amava profondamente il ricordo dei suoi genitori … aveva il senso che solo loro la stessero osservando (da lontano).

C’è nata. Davvero, dentro di sé, pur senza volerlo più riconoscere, sente che le è caro. Caro perché, da convento grande grande, come potevano farlo, l’hanno fatto invece così piccolo piccolo, quasi apposta per lei. Come apposta per lei, suo padre che vi fu tant’anni sagrestano, prima che morisse, costruì i mobiletti del suo stanzino là dentro: mobiletti quasi da bambola, per non farla avvilire: il lettino, le sedioline, il tavolinetto, tutto in proporzione della sua statura. Perché lei per quel padre, e per quella madre che certo non poteva far figliuoli (tant’è vero che, appena fece lei così piccola piccola, morì), lei è rimasta come una figliuola guardata da lontano lontano, là dal punto della sua nascita, vent’anni fa.

Scopriamo anche che Lucilla era una neonata piccolissima—cioè, sana in tutti i modi ma piccola per l’età gestazionale—e la sua crescita ha continuato ad esser sottosviluppata durante l’infanzia e l’adolescenza … non è deformata lei, No! È semplicemente una persona piccola piccola che altrimenti è normalmente proporzionata e sviluppata.

E così guardata da quegli occhi di madre che si sono allontanati d’anno in anno sempre più, tutto quello che ha potuto crescere, eccolo qua, è poco, è niente, si sa; di anni solo è cresciuta; ma a vederla, è rimasta come una bambina: tanta così. Non nana, non nana! della nana non ha niente; tutti anzi si voltano a guardarla stupiti, da come è bella con la sua testina ricciuta sul collo svelto, che può girarla di qua e di là, come vuole, e tutti i riccioli intorno, come tanti serpentelli; il corpo perfetto, una miniatura. E lei lo sa, lo sa meglio di tutti, com’è il suo corpo, dacché ha imparato a conoscerselo, da come certi maschiacci la guardano, imbecilli!

Allora … a questo punto è diventato chiaro che Lucilla ha vent’anni e che, nonostante la sua bassa statura, è una donna bellissima … ma quest’è una situazione strana, giusto? in altre parole, altri prendono nota di Lucilla proprio perché la sua straordinaria bellezza è incoerente con la sua statura. Questa contraddizione sembra esser alla base del tormento di Lucilla: pensa a se stessa come una donna—e come tale, sperimenta i sogni normali di qualcuna che è sia bella che ventenne—eppure, la sua bassa statura è stata (e continua ad esser) un ostacolo significativo alla realizzazione di questi sogni. Impariamo, per esempio, che le suore del convento hanno oggettivato Lucilla per gran parte di vita sua … si sono comportati come se fosse una bambola, un giocattolo, una curiosità. Mentre può esser vero che questi atteggiamenti sono stati radicati dalla sua infanzia, non importa più: Lucilla è frustratissima e arrabbiatissima … ha deciso che non può più rimanere nel convento.

Il dispetto è questo, la rabbia, la tortura: che lei, dentro di sé, quando senza vedersi sta a pensare, pensa da grande, ormai, da donna, da donna fatta come tutte le altre. Vedersi allora trattata come una bambina da quelle stupide teste fasciate delle suore, che loro sì, anche vecchie con quelle facce siero di latte, guardano parlano ridono e fanno attucci da bambine sceme; vedersi trattata come una bambola, come un giocattolo, presa in collo e passata dalle braccia dell’una a quelle dell’altra, che tutte per carezzarla la mungono e nessuna si vuole accorgere che lei è già tutta formata come una donna;

E poi apprendiamo perché Lucilla, all’inizio della novella, era così sconvolta: prima quel giorno, la sua rabbia e frustrazione aveva ‘ribollito’ e lei ha violentemente attaccato parecchi delle suore.

no, no, no, questo non le è più tollerabile, deve finire, deve finire; è già finito. Ne ha sgraffiate oggi tre o quattro in un momento che s’è sentita artigliare le dita, e non sa più che ingiurie e vituperii ha scagliato loro in faccia, con la schiuma alla bocca.

Lucilla non nega che, nel corso degli anni, le suore fossero state gentili e caritatevoli … ma quella storia semplicemente non ha più importanza.

Le hanno fatto la carità di tenerla con loro, in quello stanzino, anche dopo morto il padre? Sì, grazie, per aver quello spasso della bambolina viva, da giocarci nelle ore di ricreazione! Le hanno cucito con le loro stesse mani, alla bambola, il corredino, abiti, biancheria? Lascerà loro tutto, tutto; non si porterà via nulla;

Poi apprendiamo che gran parte di ciò che spinge Lucilla è la presenza d’un giovinotto, Nino. Lucilla ha in programma d’incontrar Nino fuori dal convento alle sette quella sera … un incontro che segnerà l’inizio di una nuova vita insieme.

così com’è, questa sera stessa, se n’andrà da Nino.

Da Nino, da Nino, sì. Tra poco. Alle sette. Nino gliel’ha detto.

Lucilla ha deciso d’impegnarsi con Nino, fiduciosa nella sua capacità d’esser sua moglie.

Si metterà con lui. Lei sa far tutto: badare alla casa, preparargli da mangiare, curargli gli abiti, rammendare, stirare. Col suo piccolo ferro da stiro, lei, barche di panni così, ha stirato in convento!

Impariamo che Lucilla e Nino sono stati insieme prima e che ci sono stati episodi di modesta intimità condivisa.

E Nino lo sa bene, che lei è già donna. Fin dalla prima volta che anche lui per chiasso se la prese in collo, passando come fa spesso la sera qua dal prato, di ritorno dalla staccionata dov’ha l’allevamento dei cavalli, col suo cappellaccio da buttero, ma signore, e i bei gambali lucenti con gli sproni, nel sollevarla per le ascelle, subito, toccandole coi due pollici il petto, fece un atto furbesco col capo, lui, e sorrise d’una certa maniera, strascicando un ahh… di sorpresa e d’ammirazione e guardandola con gli occhi imbambolati. E lei si punse le mani, puntandogliele sulle guance per tenergli discosta la bocca che voleva baciarla, là proprio sul petto, Nino. Che occhi! Neri e ridenti: forano, quegli occhi! E che denti, quando ride!

(Confessiamo che ciò che è scritto qua sembra esser terribilmente prematuro: per noi la loro relazione sembra più ‘puppy love’. È difficile, per non dire altro, immaginarli come marito e moglie. Di particolare preoccupazione è che, a modo suo, Nino sembra oggettivare Lucilla.)

Il tempo passa, sono le sette di sera. Lucilla lascia il convento e attraversa il prato per arrivare nel luogo in cui vive Nino.

Già le sette?

Da quanto è stata a rimuginare tra sé là sul prato, presa la risoluzione di romperla con le monache, Lucilla è ormai come ubriaca; non vede più nulla; va, vola come una farfallina abbarbagliata; e alla fine, quando si ritrova nell’androne della casa dove sta Nino, le par d’esservi giunta come una trottola, tra le vertigini, in un capogiro. Non tira più fiato; e ora, ah Dio, c’è da fare tutte quelle scale, e che scale! per salire fino all’ultimo piano di quel vecchio casone decaduto.

Con notevole difficoltà, Lucilla riesce a far sapere a Nino che è arrivata. Con sua sorpresa, tuttavia, la saluta un altro giovane che la costringe ad entrare. Il posto, uno spazio che molti uomini sembrano condividere, è un disastro … grezzo e sporco.

Finalmente, un po’ reggendosi al muro, un po’ alla ringhiera, ci arriva; ma una volta lassù, davanti alla porta, per quanto si rizzi sulla punta dei piedini, non arriva a premere col braccìno levato il campanello troppo alto; e allora si mette a tempestare di pugni la porta:

– Apri, apri, Nino! Sono io! Sono venuta!

Nel bujo della saletta non discerne bene chi sia venuto ad aprirle. Sente accosto come un tanfo di stalla, mentre una mano ruvida cerca goffamente la sua per prenderla, come si fa coi bambini quando si vogliono portare davanti a qualcuno. La confusione, anzi peggio, lo sgomento da cui subito è presa, non è però per quel tanfo né per quell’atto goffo a cui lei istintivamente si sottrae; è per un gran baccano di voci e di risa che viene dalla stanza di là, attraverso l’uscio socchiuso, che dallo spiraglio dà a Lucilla l’impressione che crepiti e fiammeggi come un forno.

Poi, Lucilla viene spinta in una stanza con uomini e ragazzi ubriachi.

Lucilla comincia a tremare; vuol fuggire; ma l’uscio si spalanca: ominacci di campagna ubriachi, vestiti di velluto, con gambali e speroni ai piedi; facce bestiali pavonazze, urlando, barcollando, allungando le manacce, la tirano dentro, in mezzo a una nuvola di fumo; tutti sghignazzano come in un ribollimento di grassa sodisfazione; chi posa la pipa, chi la bottiglia e il bicchiere,

(La scena è bizzarra: mentre abbiamo letto questo, abbiamo immaginato una delle ‘bar scenes’ da Star Wars.)

Sfortunatamente, e con grande ironia, questi uomini oggettivano e giocano rozzamente con Lucilla … di sicuro per ragioni diverse, ma in un modo non dissimile dal comportamento delle suore del convento!

e si buttano su lei; vogliono giocare con lei anche loro, ma in che altro modo! la spremono, la strizzano, la vogliono scoprire; e lei grida, strilla, si dibatte,

Fino a quando Nino, che nonostante sembra divertirsi, interrompe il procedimento.

finché Nino, sghignazzando anche lui e torcendosi tutto, con le lagrime agli occhi dal troppo ridere, con uno strattone non la libera e, tornando a sedere, non la ripara tra le sue gambe gridando:

– Basta! basta! Le sento battere il cuore, oh Dio, ma sì, ma sì, le sento battere il cuore qua sul ginocchio!

Tuttavia, Lucilla viene presa con forza dalla mano in preparazione per … beh, qualcosa che non è mai chiaramente spiegato (sebbene ci preoccupiamo della possibilità di stupro).

Non s’accorge che Lucilla gli s’è abbattuta su quel ginocchio e che, se egli apre le gambe, gli casca giù a terra, come un cencio, svenuta.

Afferra con una mano un sudicio ragazzaccio di campagna, sui quattordici anni, scemo, che gli sta accanto tutto arruffato e intenerito (quello stesso che è venuto ad aprir la porta) e scuote Lucilla per presentarglielo:

– Eccoti qua lo sposino! Abbiamo tutto preparato di là!

Il tempo passa, e alla fine della storia Lucilla (poverina) è da sola. Supponiamo che la novella possa esser interpretata come un’ammonizione … (es.) Stai attento a ciò che desideri! … ma scopriamo che ammiriamo Lucilla: dopotutto ha avuto il coraggio delle sue convinzioni e ha combattuto contro gli abusi. Anche se sembra che sia fallito il suo primo tentativo di vivere come vuole (cioè liberamente e indipendentemente), le auguriamo ogni bene nel futuro … le auguriamo ogni successo!

Lucilla non sa più quanto tempo sia passato; che cosa le sia veramente accaduto là; s’è dibattuta, s’è svincolata, liberata, mordendo, graffiando, e ora va nella notte, non sa dove, piccola piccola, per strade grandi, deserte, ignote; è come impazzita, inebetita; e guarda, così piccola, i tronchi giganteschi degli alberi, di cui a stento riesce a scorgere le cime, e più su, più su, finestre vane illuminate come nel cielo, dove vorrebbe sparire, sparire, se Dio, come spera, vorrà alla fine darle le ali.

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