Riassunto: Una giornata

Strappato dal sonno, forse per sbaglio, e buttato fuori dal treno in una stazione di passaggio. Di notte; senza nulla con me.

Comincia così Una giornata (L. Pirandello), una novella che, per noi, sembra esser stato concepito come una sorta di ‘puzzle assurdo’ che il lettore è sfidato a risolvere.

(Cari lettori, nel nostro caso abbiamo scelto di non tentare di risolvere il puzzle in tempo reale. Invece, ci siamo concessi il piacere d’esser ‘carried along’ dal flusso della narrativa, cioè, immersi nei nostri pensieri, assaporando ogni momento, mentre aspettavamo ‘the reveal’, cioè la soluzione al puzzle che in questo caso si verifica verso la fine della storia. Vi racommandiamo di fare lo stesso!)

All’inizio della storia apprendiamo che il protagonista sta viaggiando in treno. È sera e sta dormendo quando, all’improvviso e per ragioni sconosciute, viene svegliato e poi gettato con forza dal treno, poco dopo è arrivato a una piccola stazione di passaggio. 

Il protagonista non ha idea del perché potrebb’esser stato trattato (abusato) in questo modo; infatti, si chiede se l’incidente possa esser spiegato come un caso d’identità errata! Per aggiunger la beffa al danno, il protagonista sembra esser stato espulso dal treno senza i suoi effetti personali.

Stordito, il protagonista sembra sforzarsi, mentre tenta d’elaborare / interpretare ciò che è appena accaduto;

Non riesco a riavermi dallo sbalordimento.

… ma poi, curiosamente, non riesce a trovare nessun segno fisico della violenza che ha appena subito. Inoltre, ha anche grande difficoltà a ricordar gli eventi che hanno portato alla sua rimozione dal treno.

Ma ciò che più mi impressiona è che non mi trovo addosso alcun segno della violenza patita; non solo, ma che non ne ho neppure un’immagine, neppur l’ombra confusa d’un ricordo.

Il protagonista poi spiega che è adesso a terra, completamente da solo … e che la stazione è deserta e quasi buia.

Mi trovo a terra, solo, nella tenebra d’una stazione deserta;

Ci sembra ovvio che il protagonista sia ‘perso’ … cioè, non ha idea né di come gestire questi sviluppi né come ottener assistenza.

e non so a chi rivolgermi per sapere che m’è accaduto, dove sono.

Poi, apprendiamo che il treno ha lasciato la stazione poco dopo che il protagonista è stato espulso,

Ho solo intravisto un lanternino cieco, accorso per richiudere lo sportello del treno da cui sono stato espulso. Il treno è subito ripartito. E subito scomparso nell’interno della stazione quel lanternino, col riverbero vagellante del suo lume vano.

… e un breve periodo dopo, ammette che nella confusione del momento, non ha mai pensato di correr dietro al treno per pretendere una spiegazione e recuperare i suoi effetti personali.

Nello stordimento, non m’è nemmen passato per il capo di corrergli dietro per domandare spiegazioni e far reclamo.

Adesso, ci rendiamo conto che il protagonista è così confuso / pieno di dubbio che non possa davvero dirlo per certo se i suoi averi siano ancora sul treno;

Ma reclamo di che?

… cosa c’è di più, il protagonista non è in grado di ricordar i dettagli del suo viaggio, incluso il suo scopo / itinerario nonché quelle cose che potrebbe aver portato portato con sé.

Con infinito sgomento m’accorgo di non aver più idea d’essermi messo in viaggio su un treno. Non ricordo più affatto di dove sia partito, dove diretto; e se veramente, partendo, avessi con me qualche cosa. Mi pare nulla.

(A questo punto, dunque, possiamo facilmente immaginare quanto surreale debba esser sembrata la situazione del protagonista: in primo luogo, ha subito un atto violento senza una spiegazione razionale e, in secondo luogo, la sua incapacità di elaborare / interpretare / ricordare ciò che è realmente accaduto ha solo aumentato il suo senso di dubbio ed incertezza … tanto che, in effetti, ha iniziato a chiedersi se il viaggio e la violenza non siano mai accaduti ma invece fossero solo immaginati.)

In questo ‘vuoto’ d’incertezza e profonda confusione, il protagonista vive un momento di terrore mentre il treno svanisce dal suo punto di vista. Il treno! è giusto dire che, a questo punto, il protagonista sia consumato dal desiderio di capire cosa gli è successo. Il treno! il protagonista crede che sia l’unico ‘luogo’ in cui si può trovare le risposte alle sue numerose domande.

Nel vuoto di questa orribile incertezza, subitamente mi prende il terrore di quello spettrale lanternino cieco che s’è subito ritirato, senza fare alcun caso della mia espulsione dal treno.

Poi, all’improvviso, ed in un momento d’apparente lucidità, il protagonista si chiede se il modo migliore di procedere sarebbe lasciare la stazione;

È dunque forse la cosa più normale che a questa stazione si scenda così?

… all’uscita, tuttavia, e con l’alba a portata di mano, il suo disagio solo aumenta quando si ritrova in una città sconosciuta.

Nel bujo, non riesco a discernerne il nome. La città mi è però certamente ignota. Sotto i primi squallidi barlumi dell’alba, sembra deserta.

Poco dopo, il protagonista si ritrova all’interno d’una grande piazza, deserta ad eccezione d’una sola luce a cui si avvicina, ma poi si ferma.

Nella vasta piazza livida davanti alla stazione c’è un fanale ancora acceso. Mi ci appresso; mi fermo

Il protagonista sperimenta un terrore profondo … la nostra impressione è che sembra esser confuso, incerto, dubbioso, esitante e timido al tempo stesso. Inoltre, esamina il proprio corpo come se fosse un ‘reality check’ … sembra chiedersi, Sia davvero io? Possa fidarmi che le cose che vedo e sento sono reali?

non osando alzar gli occhi, atterrito come sono dall’eco che hanno fatto i miei passi nel silenzio, mi guardo le mani, me le osservo per un verso e per l’altro, le chiudo, le riapro, mi tasto con esse, mi cerco addosso, anche per sentire come son fatto, perché non posso più esser certo nemmeno di questo: ch’io realmente esista e che tutto questo sia vero.

Poco dopo, il protagonista si ritrova nel centro città, che non riconosce … di conseguenza, diventa di nuovo confuso ed incerto.

Poco dopo, inoltrandomi fin nel centro della città, vedo cose che a ogni passo mi farebbero restare dallo stupore,

È mattina presto e adesso la città è più affollata. Il protagonista nota, quasi immediatamente, che i passanti per strada, molti dei quali sembrano esser suoi pari, agiscono in modo ‘spensierato’, come se prendersi cura dei propri affari fosse un semplice ‘fatto della vita’.

se uno stupore più forte non mi vincesse nel vedere che tutti gli altri, pur simili a me, ci si muovono in mezzo senza punto badarci, come se per loro siano le cose più naturali e più solite.

Il protagonista si sente come se viene trascinato lungo la strada, cioè da forze al di fuori del suo controllo,

Mi sento come trascinare,

… e sente anche la presenza d’una minaccia non specificata, in agguato , cioè, nelle vicinanze.

ma anche qui senz’avvertire che mi si faccia violenza.

Poi il protagonista ‘gets cold feet’… rifiuta di credere che qualsiasi passante lo prenderà sul serio. In altre parole, data la sua incertezza e il suo dubbio (interiori), sospetta che nessuno di loro accetterà prontamente la storia di ciò che gli è successo. Invece, teme che tutti loro lo dubiteranno, lo rimprovereranno e lo respingeranno.

Solo che io, dentro di me, ignaro di tutto, sono quasi da ogni parte ritenuto. Ma considero che, se non so neppur come, né di dove, né perché ci sia venuto, debbo aver torto io certamente e ragione tutti gli altri che, non solo pare lo sappiano, ma sappiano anche tutto quello che fanno sicuri di non sbagliare, senza la minima incertezza, così naturalmente persuasi a fare come fanno, che m’attirerei certo la maraviglia, la riprensione, fors’anche l’indignazione se, o per il loro aspetto o per qualche loro atto o espressione, mi mettessi a ridere o mi mostrassi stupito.

Il protagonista ribadisce il suo acuto desiderio di risolvere la sua situazione (sebbene senza troppi sforzi),

Nel desiderio acutissimo di scoprire qualche cosa senza farmene accorgere, 

… e poi il protagonista conferma il suo desiderio di vivere senza l’ansia di fraintendere ciò che sia reale.

debbo di continuo cancellarmi dagli occhi quella certa permalosità che di sfuggita tante volte nei loro occhi hanno i cani. 

Al contrario, si esorta ad essere più simile ai passanti … cioè, sicuro, convinto, certo, controllato; il protagonista crede infatti che debba esser più simile a loro prima di rivelare la sua storia.

Il torto è mio, il torto è mio, se non capisco nulla, se non riesco ancora a raccapezzarmi. Bisogna che mi forzi a far le viste d’esserne anch’io persuaso e che m’ingegni di far come gli altri, per quanto mi manchi ogni criterio e ogni pratica nozione, anche di quelle cose che pajono più comuni e più facili.

Tuttavia, il protagonista ammette che non sappia nemmeno da dove cominciare,

Non so da che parte rifarmi, che via prendere, che cosa mettermi a fare.

… e ha iniziato a dubitare della propria identità. Si chiede, ad esempio, se sia un adulto autosufficiente oppure un bambino che dipenda dagli altri per sopravvivere.

Possibile però ch’io sia già tanto cresciuto, rimanendo sempre come un bambino e senz’aver fatto mai nulla?

Quantomeno il protagonista sembra capace di trascendere quest’incertezza … si affida alla sua memoria per concludere che, ovviamente, sia un adulto autosufficiente / indipendente. Anzi, i passanti sembrano rafforzare questa conclusione, poiché lo riconoscono e gli mostrano notevole rispetto e rispetto

Avrò forse lavorato in sogno, non so come. Ma lavorato ho certo; lavorato sempre, e molto, molto. Pare che tutti lo sappiano, del resto, perché tanti si voltano a guardarmi e più d’uno anche mi saluta, senza ch’io lo conosca.

Tutto ciò nonostante, questo riconoscimento non fa altro che aumentare la sua confusione … si chiede, Come può essere vero che queste persone mi conoscano quando non le conosco io?

Resto dapprima perplesso, se veramente il saluto sia rivolto a me; mi guardo accanto; mi guardo dietro. Mi avranno salutato per sbaglio? Ma no, salutano proprio me.

Agitato, imbarazzato, la sua fiducia ‘in brandelli’,

Combatto, imbarazzato, con una certa vanità che vorrebbe e pur non riesce a illudersi, e vado innanzi come sospeso, senza potermi liberare da uno strano impaccio per una cosa – lo riconosco – veramente meschina:

… il protagonista poi ammette di non riconoscer nemmeno i vestiti che indossa!

non sono sicuro dell’abito che ho addosso; mi sembra strano che sia mio;

Cosa c’è di più, si chiede se i passanti notino solo i vestiti che indossa (invece di se stesso), cioè, i vestiti che sembrano appartenere a qualcun altro!

e ora mi nasce il dubbio che salutino quest’abito e non me. E io intanto con me, oltre a questo, non ho più altro!

A questo punto, il protagonista decide di cercare attraverso questi vestiti per possibili indizi alla sua situazione. Gli capita di trovare, in una tasca interna, un vecchio portafoglio di cuoio consumato, all’interno del quale scopre una vecchia immagine sacra che forse avrebbe potuto commemorare un evento nella vita d’un bambino,

Torno a cercarmi addosso. Una sorpresa. Nascosta nella tasca in petto della giacca tasto come una bustina di cuojo. La cavo fuori, quasi certo che non appartenga a me ma a quest’abito non mio. E davvero una vecchia bustina di cuojo, gialla scolorita slavata, quasi caduta nell’acqua di un ruscello o d’un pozzo e ripescata. La apro, o, piuttosto, ne stacco la parte appiccicata, e vi guardo dentro. Tra poche carte ripiegate, illeggibili per le macchie che l’acqua v’ha fatte diluendo l’inchiostro, trovo una piccola immagine sacra, ingiallita, di quelle che nelle chiese si regalano ai bambini

… ed insieme a quest’immagine, si trova una vecchia foto d’una bellissima giovanotta, vivace e felice, in una giornata estiva, sulla spiaggia.

e, attaccata ad essa quasi dello stesso formato e anch’essa sbiadita, una fotografia. La spiccico, la osservo. Oh. È la fotografia di una bellissima giovine, in costume da bagno, quasi nuda, con tanto vento nei capelli e le braccia levate vivacemente nell’atto di salutare.

Poveretto! non riconosce la bellissima giovanotta, anche se la foto sembra indurre un ricordo mal definito e doloroso;

Ammirandola, pur con una certa pena, non so, quasi lontana, sento che mi viene da essa l’impressione, se non proprio la certezza, che il saluto di queste braccia, così vivacemente levate nel vento, sia rivolto a me. Ma per quanto mi sforzi, non arrivo a riconoscerla. È mai possibile che una donna così bella mi sia potuta sparire dalla memoria, portata via da tutto quel vento che le scompiglia la testa?

… ciònonostante, il protagonista si rende conto che una foto così intima, cioè, tenuta in un portafoglio in questo modo, potrebbe solo rappresentare l’immagine d’una fidanzata di qualcuno.

Certo, in questa bustina di cuojo caduta un tempo nell’acqua, quest’immagine, accanto all’immagine sacra, ha il posto che si dà a una fidanzata.

A questo punto, l’attenzione del protagonista si sposta sugli altri scomparti / nicchie all’interno del portafoglio, dove capita di trovare una vecchia banconota promettente, apparentemente fatta a lui, che vale una somma di denaro considerevole.

Torno a cercare nella bustina e, più sconcertato che con piacere, nel dubbio che non m’appartenga, trovo in un ripostiglio segreto un grosso biglietto di banca, chi sa da quanto tempo lì riposto e dimenticato, ripiegato in quattro, tutto logoro e qua e là bucherellato sul dorso delle ripiegature già lise.

Il protagonista sembra esser incapace di far fronte allo stress delle sue nuove scoperte,

Sprovvisto come sono di tutto, potrò darmi ajuto con esso? Non so con qual forza di convinzione, l’immagine ritratta in quella piccola fotografia m’assicura che il biglietto è mio. Ma c’è da fidarsi d’una testolina così scompigliata dal vento?

… e decide di procrastinare: è primo pomeriggio e ha fame, e quindi entra in una trattoria.

Mezzogiorno è già passato; casco dal languore: bisogna che prenda qualcosa, ed entro in una trattoria.

Entrando, il protagonista è sorpreso (ancora una volta) d’esser riconosciuto e trattato con deferenza e rispetto;

Con maraviglia, anche qui mi vedo accolto come un ospite di riguardo, molto gradito. Mi si indica una tavola apparecchiata e si scosta una seggiola per invitarmi a prender posto.

… ma decide dopotutto che non mangerà … invece, mette da parte il proprietario, chiedere la sua opinione sull’autenticità della banconota. Il proprietario spiega che, sebbene la nota non sia aggiornata, abbia tutte le ragioni per aspettarsi che la banca lo onorerebbe … soprattutto data la reputazione e la stima del protagonista nella loro comunità.

Ma io son trattenuto da uno scrupolo. Fo cenno al padrone e, tirandolo con me in disparte, gli mostro il grosso biglietto logorato. Stupito, lui lo mira; pietosamente per lo stato in cui è ridotto, lo esamina; poi mi dice che senza dubbio è di gran valore ma ormai da molto tempo fuori di corso. Però non tema: presentato alla banca da uno come me, sarà certo accettato e cambiato in altra più spicciola moneta corrente.

Poi, al protagonista viene mostrato dove si trova la banca,

Così dicendo il padrone della trattoria esce con me fuori dell’uscio di strada e m’indica l’edificio della banca lì presso.

… e, al suo arrivo, il protagonista viene accolto con grande rispetto, e poi i funzionari della banca affermano che la banconota promettente sarà certamente onorata. Ci sarà infatti un rimborso completo, ma c’è ancora un problema: la banca può pagare solo in biglietti di piccolo taglio, ma il protagonista non ha i mezzi per trasportare tutti i suoi soldi! Pertanto, accetta di portare con sé solo una piccola quantità di denaro e di lasciar il resto in banca.

Ci vado, e tutti anche in quella banca mi si mostrano lieti di farmi questo favore. Quel mio biglietto – mi dicono – è uno dei pochissimi non rientrati ancora alla banca, la quale da qualche tempo a questa parte non dà più corso se non a biglietti di piccolissimo taglio. Me ne danno tanti e poi tanti, che ne resto imbarazzato e quasi oppresso. Ho con me solo quella naufraga bustina di cuojo. 

Ma mi esortano a non confondermi. C’è rimedio a tutto. Posso lasciare quel mio danaro in deposito alla banca, in conto corrente.

Il protagonista spiega che è infatti confuso da ciò che è appena accaduto, anche se ha tentato d’apparire come se capisse.

Fingo d’aver compreso; mi metto in tasca qualcuno di quei biglietti e un libretto che mi danno in sostituzione di tutti gli altri che lascio,

Poi, ritorna in trattoria … ma adesso non ha più fame ed esce la trattoria poco dopo il suo arrivo.

e ritorno alla trattoria. Non vi trovo cibi per il mio gusto; temo di non poterli digerire.

E poi, il protagonista spiega che un pettegolezzo sulla sua ricchezza nuova ha già iniziato a diffondersi … anzi, come lascia la trattoria, viene a conoscenza d’un’auto, con autista, che lo attende!

Ma già si dev’essere sparsa la voce ch’io, se non proprio ricco, non sono certo più povero; e infatti, uscendo dalla trattoria, trovo un’automobile che m’aspetta e un autista che si leva con una mano il berretto e apre con l’altra lo sportello per farmi entrare.

Inconsapevolmente, entra nell’auto, che lo trasporta a casa sua: una vecchia bella casa spaziosa e lussuosa, come si addice ad un uomo ricco!

Io non so dove mi porti. Ma com’ho un’automobile, si vede che, senza saperlo, avrò anche una casa. Ma sì, una bellissima casa, antica, dove certo tanti prima di me hanno abitato e tanti dopo di me abiteranno.

Il protagonista si sente dei dubbi,

Sono proprio miei tutti questi mobili? Mi ci sento estraneo, come un intruso. Come questa mattina all’alba la città, ora anche questa casa mi sembra deserta; ho di nuovo paura dell’eco che i miei passi faranno, movendomi in tanto silenzio.

… e mentre vaga per la casa, capita d’entrar in una camera da letto occupata da nientemeno che la giovanotta nella vecchia foto! (Questa sembra esser una storia surreale degna di Fellini, giusto?)

D’inverno, fa sera prestissimo; ho freddo e mi sento stanco. Mi faccio coraggio; mi muovo; apro a caso uno degli usci; resto stupito di trovar la camera illuminata, la camera da letto e, sul letto, lei, quella giovine del ritratto, viva, ancora con le due braccia nude vivacemente levate, ma questa volta per invitarmi ad accorrere a lei e per accogliermi tra esse, festante.

Il protagonista, più confuso che mai, rifiuta semplicemente di creder a ciò che vede nella camera da letto … si chiede, Stia io sognando?

È un sogno?

E poi, cerca indizi per determinare se la giovanotta è reale o no; tuttavia, il protagonista non riesce a trovare qualche prova convincente, e conclude che debba esser allucinante! … cioè, che quello che abbia ‘visto’ dev’esser un frutto della propria immaginazione!

Certo, come in un sogno, lei su quel letto, dopo la notte, la mattina all’alba, non c’è più. Nessuna traccia di lei. E il letto, che fu così caldo nella notte, è ora, a toccarlo, gelato, come una tomba. E c’è in tutta la casa quell’odore che cova nei luoghi che hanno preso la polvere, dove la vita è appassita da tempo, e quel senso d’uggiosa stanchezza che per sostenersi ha bisogno di ben regolate e utili abitudini.

Inorridito, completamente distrutto, il protagonista non può più far fronte all’improbabilità delle sue circostanze. Conclude che il suo sogno è diventato un incubo, un’assurdità!

Io ne ho avuto sempre orrore. Voglio fuggire. Non è possibile che questa sia la mia casa. Questo è un incubo. Certo ho sognato uno dei sogni più assurdi.

Esausto, il protagonista decide adesso di guardarsi in uno specchio. Terrorizzato da ciò che vede, diventa più incerto che mai.

Quasi per averne la prova, vado a guardarmi a uno specchio appeso alla parete dirimpetto, e subito ho l’impressione d’annegare, atterrito, in uno smarrimento senza fine. Da quale remota lontananza i miei occhi, quelli che mi par d’avere avuti da bambino, guardano ora, sbarrati dal terrore, senza potersene persuadere, questo viso di vecchio? Io, già vecchio? Così subito? E com’è possibile?

Sembra ragionevole supporre che: il protagonista possa essersi mosso goffamente verso lo specchio (forse si sia imbattuto in qualcosa) e poi abbia urlato quando si sia visto allo specchio, e che, a sua volta, abbia attirato l’attenzione dei suoi figli adulti, che poi siano entrati la sua stanza per indagare … per vedere, cioè, se ci fosse stato qualcosa di sbagliato e se il padre avesse bisogno del loro sostegno.

Sento picchiare all’uscio. Ho un sussulto. M’annunziano che sono arrivati i miei figli.

… ma il protagonista non li riconosce! Veniamo a vedere che è severamente disorientato e probabilmente abbastanza frail … un anziano, cioè, che probabilmente soffra gli effetti della vecchiaia e possa, infatti, essere morire.

I miei figli?

Mi pare spaventoso che da me siano potuti nascere figli. Ma quando? Li avrò avuti jeri. Jeri ero ancora giovane. E giusto che ora, da vecchio, li conosca.

Impariamo che la famiglia allargata del protagonista è a casa, prendendosi cura di lui. A sua volta, il protagonista si chiede se sta per morire.

Entrano, reggendo per mano bambini, nati da loro. Subito accorrono a sorreggermi; amorosamente mi rimproverano d’essermi levato di letto; premurosamente mi mettono a sedere, perché l’affanno mi cessi. Io, l’affanno? Ma sì, loro lo sanno bene che non posso più stare in piedi e che sto molto molto male.

Seduto, li guardo, li ascolto; e mi sembra che mi stiano facendo in sogno uno scherzo.

Già finita la mia vita?

Il povero protagonista rimane disorientato, mentre la sua famiglia allargata gli dà rispetto.

E mentre sto a osservarli, così tutti curvi attorno a me, maliziosamente, quasi non dovessi accorgermene, vedo spuntare nelle loro teste, proprio sotto i miei occhi, e crescere, crescere non pochi, non pochi capelli bianchi.

– Vedete, se non è uno scherzo? Già anche voi, i capelli bianchi.

E guardate, guardate quelli che or ora sono entrati da quell’uscio bambini: ecco, è bastato che si siano appressati alla mia poltrona: si son. fatti grandi; e una, quella, è già una giovinetta che si vuol far largo per essere ammirata. Se il padre non la trattiene, mi si butta a sedere sulle ginocchia e mi cinge il collo con un braccio, posandomi sul petto la testina.

Alla fine, vediamo il protagonista mentre accetta con grazia il suo destino, anche se non comprenda più appieno.

Mi vien l’impeto di balzare in piedi. Ma debbo riconoscere che veramente non posso più farlo. E con gli stessi occhi che avevano poc’anzi quei bambini, ora già così cresciuti, rimango a guardare finché posso, con tanta tanta compassione, ormai dietro a questi nuovi, i miei vecchi figliuoli.

***

Verso la fine di Una giornata, ci rendiamo conto che la narrazione descrive, in dettaglio vivido, i contenuti d’un sogno.

Un sogno può essere definito come una sequenza di percezioni, pensieri ed emozioni che si verificano durante il sonno ma che tuttavia sembrano essere reali. Inoltre, si pensa che i sogni riflettano le speranza, i desideri e le paure d’una persona, vale a dire le preoccupazioni consce ed inconsce d’una persona.

In quanto tale, dopo aver finito di leggere la storia, abbiamo sentito la necessità di riveder gli eventi che sono stati descritti: di determinar, per così dire, per noi stessi cosa (molto probabilmente) era realmente accaduto rispetto a ciò che era immaginato (in altre parole, il prodotto delle speranze, dei desideri e delle paure del protagonista). Dunque,

1. È un anziano il protagonista?

2. È frail il protagonista?

3. In questo momento, è stato limitato a letto il protagonista per la propria sicurezza?

4. È vicina la morte del protagonista?

Noi pensiamo di sì.

5. È ricco il protagonista?

Noi pensiamo di sì.

6. È stato sposato il protagonista?

Noi pensiamo di sì.

7. È viva la moglie del protagonista?

Pensiamo che sia morta, cioè, il protagonista sia un vedovo.

8. Era felice il matrimonio?

Noi pensiamo di sì … pensiamo che il protagonista fosse profondamente innamorato di sua moglie.

9. Ha il protagonista una famiglia di alcuni figli adulti, almeno uno dei quali è sposato con una figlia?

10. È il protagonista in realtà un membro ben riconosciuto e rispettato della sua comunità?

Noi pensiamo di sì.

11. Stava viaggiando in treno il protagonista all’inizio della novella?

Noi non la pensiamo così, no.

12. Il protagonista è stato gettato violentemente dal treno?

Noi non la pensiamo così, no.

13. Ha accuratamente descritto il protagonista la stazione di passaggio, la piazza di fronte alla stazione, il centro città, la trattoria, la banca e casa sua?

Noi pensiamo di sì.

14. La ragazza nella foto (e nella camera da letto) … è in realtà la moglie del protagonista?

Noi pensiamo di sì.

15. È stata data al protagonista da ragazzo l’immagine sacra, forse durante una cerimonia in cui ha ricevuto uno dei sacramenti della Chiesa?

Noi pensiamo di sì.

16. Qual’è il significato della vecchia banconota promettente?

Non disponiamo di informazioni sufficienti per conoscere la risposta.

17. Perché il protagonista sognava d’esser stato gettato violentemente dal treno?

Non possiamo esserne sicuri, ma una possibilità sarebbe che di recente abbia sperimentato la perdita del suo consueto ruolo di uomo ricco / potente e capo di famiglia. In altre parole, la fine del suo viaggio di vita è vicina (morirà presto) ed è stato costretto ad accettar una significativa inversione di ruolo: invece d’esser responsabile della propria vita e delle vite degli altri, il protagonista deve adesso dipendere dagli altri (cioè, i suoi figli) per prendersi cura di lui. Se sia vero, allora l’atto d’esser gettato con forza dal treno può esser interpretato come un ‘stand in’ per la sua paura di morire e l’incertezza / il dubbio associati alla sua perdita d’indipendenza.

18. Perché il protagonista non riconosce le persone e i luoghi nei suoi sogni?

Non possiamo esserne sicuri, ma una possibilità sarebbe che la sua incapacità di riconoscere ciò che sa (cioè, di negare quello che è vero) rappresenti un tentativo di negare / lottare / evitare il suo destino.

Cari lettori, quali sono le vostre impressioni su Una giornata?

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