Riassunto: La prova

Allora … chi lo sapeva?

Mi permetta di spiegare. Dopo una educazione solida (vale a dire, un’educazione basata sulle lezioni di catechismo tenute da suor Mary Vincent nella chiesa cattolica ‘Mount Carmel’ a Kenosha, Wisconsin—in preparazione del sacramento della Prima Santa Comunione e, qualche anno dopo, la Cresima) ero convinto che gli angeli fossero spesso chiamati ad esser gli agenti della volontà di Dio qui sulla Terra.

Tuttavia, dovrei anche dire che la mia educazione non si è limitata a queste lezioni di catechismo. No, no, no! … la mia comprensione degli angeli è stata accresciuta da Hollywood, che, durante la mia infanzia ed adolescenza, ha prodotto una serie di memorabili film americani con i personaggi angelici. Anzi, guardando questi film, sono stato confortato dal fatto che ci fosse, in generale, un buon accordo tra ciò che ho imparato durante la lezione di catechismo e ciò che ho visto ed ascoltato al cinema. In entrambi i casi, gli angeli sembravano e si comportavano, beh, più o meno come me (ehm … ok, ok, ok … tranne per il fatto che avevano le ali, potevano volare ed erano in diretta comunicazione con la gente in Paradiso).

Angelo, Ponte Sant’Angelo a Roma

Probabilmente il film di Hollywood più famoso della mia generazione che presentava un angelo era “It’s a Wonderful Life”, un film americano del 1946 prodotto e diretto da Frank Capra e basato sul racconto “The Greatest Gift”, pubblicato da Philip Van Doren Stern nel 1943. Nel film James Stewart è ‘George Bailey’, qualcuno che ha rinunciato ai suoi sogni per aiutar gli altri, e il cui imminente suicidio alla vigilia di Natale provoca l’intervento del suo angelo custode, ‘Clarence Odbody’.

 I personaggi Clarence Odbody and George Bailey (immagine preso dal film, “It’s a Wonderful Life”)

Per convincere George che il suicidio non è la risposta giusta alla sua disperazione, Clarence mostra a George tutte le vite che ha toccato (vale a dire, tutto il bene che ha fatto) e quanto sarebbe stata diversa la vita per sua moglie e la sua comunità se avesse avuto mai nato … come esemplificato dal seguente dialogo:

George: Well, you look about the kind of angel I’d get. Sort of a fallen angel, aren’t you? What happened to your wings?

Clarence: I haven’t won my wings, yet. That’s why I’m called an Angel Second Class. I have to earn them. And you’ll help me will you?

George: [sarcastic] Sure, sure. How?

Clarence: By letting me help you.

e anche questo:

George: Look, who are you?

Clarence: I told you, George. I’m your guardian angel. 

George: Yeah, yeah, I know. You told me that. What else are you? What … are you a hypnotist?

Clarence: No, of course not.

George: Well, then, why am I seeing all these strange things?

Clarence: Don’t you understand, George? It’s because you were not born.

George: Then if I wasn’t born, who am I?

Clarence: You’re nobody. You have no identity.

George: What do you mean, no identity? My name’s George Bailey.

Clarence: There is no George Bailey. You have no papers, no cards, no driver’s license, no 4-F card, no insurance policy … they’re not there, either.

George: What?

Clarence: Zuzu’s petals. You’ve been given a great gift, George. A chance to see what the world would be like without you.

E poi, caro lettore, penso che possa ben immaginare la mia sorpresa quando ho imparato (dopo tutti questi anni!) come ho letto la novella La prova (L. Pirandello), che Dio usa gli animali selvatici, come gli orsi, per attua i Suoi piani per noi qui sulla Terra!

Straordinario! 

(Chi ha detto che un ‘vecchio cane’ come me non può esser insegnato un nuovo trucco??)

Ancora una volta, cari lettori, chi lo sapeva?

***

Vi parrà strano che io ora stia per fare entrare un orso in chiesa.

La prova è una novella che, a nostro avviso, sia una specie di favola. All’inizio della storia ci viene presentato il narratore, un animale selvatico che capita di parlare fluente, grammaticalmente corretto italiano e di comunicare regolarmente con Dio! Il narratore sembra servire da facilitatore della volontà di Dio (a questo proposito, sembra esser un angelo) … vale a dire, è un facilitatore del piano di Dio per noi qui sulla Terra.

Il narratore ci spiega che sta per portar uno dei suoi coetanei (un’altra bestia … un orso) in una piccola chiesa all’interno d’un convento nella campagna italiana.

Il nostro senso è che il narratore stia solo facendo il suo dovere (… cioè gli è stato assegnato il compito di portare l’orso in chiesa). Quest’è perché immediatamente dopo aver spiegato cosa sta facendo, si scusa con noi: ci spiega che non avrebbe mai pensato di portare un orso in chiesa! … che considerava un atto del genere così spericolato ed irrispettoso che semplicemente non gli sarebbe mai venuto in mente di fare una cosa del genere!

Vi prego di lasciarmi fare perché non sono propriamente io. Per quanto stravagante e spregiudicato mi possa riconoscere, so il rispetto che si deve portare a una chiesa e una simile idea non mi sarebbe mai venuta in mente.

Poi, apprendiamo che la straordinaria circostanza che, in questo caso, aveva portato all’arrivo dell’orso era che due chierici erano programmati di lasciar il convento il giorno seguente come missionari in Cina.

Ma è venuta a due giovani chierici del convento di Tovel, uno nativo di Tuenno e l’altro di Flavòn, andati in montagna a salutare i loro parenti prima di partire missionari in Cina.

Il narratore sottolinea che la presenza dell’orso in chiesa difficilmente potrebb’esser considerata una circostanza ordinaria! Invece, sarebbe più simile a un miracolo, giusto? … qualcosa che richiederebbe ‘la fede’ da parte dei chierici per esser interpretata correttamente, no? … un tipo di fede adattabile ed accomodante, non è d’accordo?

Un orso, capirete, non entra in chiesa così, per entrarci; voglio dire, come se niente fosse. Vi entra per un vero e proprio miracolo, come l’immaginarono questi due giovani chierici. Certo, per crederci, bisognerebbe avere né più né meno della loro facile fede.

Poi, il narratore si lamenta che una tale fede era ‘in short supply’ e che, di conseguenza, in questo caso c’era il rischio che le intenzioni di Dio sarebbero state fraintese e mancate di rispetto.

Ma convengo che niente è più difficile ad avere che simili cose facili. Per cui, se voi non l’avete, potete anche non crederci; e potete anche ridere, volendo, di quest’orso che entra in chiesa perché Dio gli ha dato incarico di mettere alla prova il coraggio dei due novelli missionari prima della loro partenza per la Cina.

(Qua, apprendiamo che l’orso è stato mandato da Dio per mettere alla prova il coraggio dei due chierici … in altre parole, che Dio aveva voluto istituire una sorta di ‘boot camp’, prima della loro partenza, per garantire il loro successo in Cina.)

E poi l’orso entra in chiesa;

Ecco intanto l’orso davanti alla chiesa che solleva con la zampa il pesante coltrone di cuojo alla porta.

… inizialmente è disorientato,

E ora, un po’ sperduto, ecco che s’introduce nell’ombra e tra le panche in doppia fila della navata di mezzo si china a spiare,

… ma tuttavia capita d’incontrar una beghina intenta alle sue preghiere, e le chiede indicazioni per raggiungere la sagrestia.

e poi domanda con grazia alla prima beghina:

– Scusi, la sagrestia?

Il narratore spiega che per svolgere il compito che Dio gli aveva assegnato, l’orso deve fare una domanda, cioè, in modo che non commettesse un errore.

E un orso che Dio ha voluto far degno di un Suo incarico, e non vuole sbagliare.

Si scopre, tuttavia, che la beghina, mentre prega, non s’accorge mai che era un orso che le ha fatto una domanda.

Ma anche la beghina non vuole interrompere la sua preghiera, e, stizzita, più col cenno della mano che con la voce indica di là, senza alzare la testa né levar gli occhi. Così non sa d’aver risposto a un orso. Altrimenti, chi sa che strilli.

L’orso si dirige verso la sagrestia, dove incontra un sagrestano … gli chiede sulla presenza di Dio (nella chiesa).

L’orso non se n’ha a male; va di là e domanda al sagrestano:

– Scusi, Dio?

Il stupito sagrestano incredulo (poverino) e l’orso hanno poi la seguente conversazione:

Il sagrestano trasecola:

– Come, Dio?

E l’orso, stupito, apre le braccia:

– Non sta qui di casa?

Quello non sa ancor credere ai suoi occhi, tanto che esclama quasi in tono di domanda:

– Ma tu sei orso!

– Orso, già, come mi vedi; non mi sto mica dando per altro.

(Siamo rimasti ‘colpiti’, mentre abbiamo letto questo, dalle somiglianze tra la conversazione tra il sagrestano e l’orso e la conversazione, annotata sopra, tra George Bailey e Clarence Odbody.)

Infine, il sagrestano chiede all’orso se desidera parlare con Dio,

– Appunto, orso vuoi parlar con Dio?

… ma vediamo che l’orso gli risponde solamente con compassione / comprensione: spiega, ad esempio, che il sagrestano non dovrebb’esser sorpreso che un orso è capace di parlargli.

Allora l’orso non può fare a meno di guardarlo con compassione:

– Dovresti invece maravigliarti che sto parlando con te.

Poi, spiega che Dio in generale lo trova più facile parlare alle bestie che agli umani.

Dio, per tua norma, parla con le bestie meglio che con gli uomini.

E poi, l’orso indirizza la conversazione verso la sua questione in corso: vuole sapere se il sagrestano abbia familiarità con i due chierici che presto viaggeranno in Cina. Il sagrestano risponde in senso affermativo.

Ma ora dimmi se conosci due giovani chierici che partono domani missionari in Cina.

– Li conosco. Uno è di Tuenno e l’altro di Flavòn.

L’orso poi chiede se il sagrestano sia a conoscenza del programma dei chierici oggi giorno. Ancora una volta, il sagrestano risponde affermativamente.

– Appunto. Sai che sono andati in montagna a salutare i loro parenti e che debbono rientrare in convento prima di sera?

– Lo so.

E poi, l’orso rimprovera in modo gentile il sagrestano, spiegando che non ci sia altro modo in cui lui (l’orso) avrebbe saputo fare queste domande se non avesse parlato in precedenza con Dio.

– E chi vuoi che m’abbia dato tutte queste informazioni sé non Dio?

L’orso spiega poi il compito che Dio gli aveva assegnato: lui e suo ‘figlio’ (un “orsacchiotto”) hanno intenzione di metter alla prova il coraggio dei chierici prima della loro partenza. Come tale, l’orso aveva bisogno d’ottener una descrizione dei due chierici … in modo da amministrare la prova di Dio agli individui giusti.

Ora sappi che Dio vuol sottometterli a una prova e ne ha dato incarico a me e a un orsacchiotto amico mio (potrei dir figlio, ma non lo dico perché noi bestie non riconosciamo più per figli i nostri nati pervenuti a una certa età). Non vorrei sbagliare. Desidererei una descrizione più precisa dei due chierici per non fare ad altri chierici innocenti un’immeritata paura.

Il narratore sceglie di divagare un po’ per spiegar a noi che le interazioni di Dio con gli animali erano generalmente preferite perché la fede d’un animale era più semplice—più istintuale, se vuole—mentre la fede umana tendeva ad essere più complicata, influenzata, cioè, dalla capacità d’un essere umano per la cognizione d’ordine superiore e l’esercizio del libero arbitrio).

La scena è qui rappresentata con una certa malizia che certo i due chierici, nell’immaginaria, non ci misero; ma che Dio parli con le bestie meglio che con gli uomini non mi pare che si possa mettere in dubbio, se si consideri che le bestie (quando però non siano in qualche rapporto con gli uomini) sono sempre sicure di quello che fanno, meglio che se lo sapessero; non perché sia bene, non perché sia male (che queste son malinconie soltanto degli uomini) ma perché seguono obbedienti la loro natura, cioè il mezzo di cui Dio si serve per parlare con loro. Gli uomini all’incontro, petulanti e presuntuosi, per voler troppo intendere pensando con la loro testa, alla fine non intendono più nulla; di nulla sono mai certi; e a questi diretti e precisi rapporti di Dio con le bestie restano del tutto estranei; dico di più, non li sospettano nemmeno.

In sintesi, il narratore sembra suggerire che le bestie selvagge (gli animali domestici, in qualche modo, sembrano esser una ‘storia diversa’) sono esseri più semplici … cioè hanno un ego più piccolo e quindi sono più conformi … semplicemente ascoltano ciò che Dio dice e poi obbediscono e, in quanto tale, ‘eseguono’ la volontà di Dio in modo più affidabile ed efficiente di quanto gli umani siano in grado di fare.

Il tempo passa: i due orsi hanno lasciato la chiesa e si sono mossi in posizione per intercettar i due chierici mentre scendevano dalle montagne alla valle sottostante. Alla fine, arrivano i chierici e si rendono conto che il loro percorso è bloccato dagli orsi potenzialmente pericolosi.

Il fatto è che sul tramonto, tornandosene al convento, quando lasciarono il sentiero della montagna per prendere la via che conduce alla vallata, i due giovani chierici si videro questa via impedita da un orso e un orsacchiotto.

È verso la fine della primavera, ed un incontro con un orso non è stato francamente anticipato.

Era primavera avanzata; non più dunque il tempo che orsi e lupi scendono affamati dai monti. I due giovani chierici avevano camminato finora lieti in mezzo ai lavorati già alti che promettevano un abbondante raccolto e con la vista rallegrata dalla freschezza di tutto quel verde nuovo che, indorato dal sole declinante, dilagava con delizia nell’aperta vallata.

Di conseguenza, i chierici erano mal preparati per affrontare questa situazione. Erano anche spaventati: sono stati ‘congelati nel posto’ mentre cercavano aiuto o una via di fuga.

Impauriti, si fermarono. Erano, come devono essere i chierici, disarmati. Solo quello di Tuenno aveva un rozzo bastone raccattato per strada, discendendo dalla montagna. Inutile affrontare con esso le due bestie.

D’istinto, per prima cosa, si voltarono a guardare indietro in cerca d’ajuto o di scampo.

Poi, si scopre che c’è un’altra persona nelle vicinanze, una ragazzina, che sembra esser ignara del pericolo.

Ma avevano lasciato poco più su soltanto una ragazzina che con un frusto badava a tre porcellini.

La videro che s’era anch’essa voltata a guardare verso la vallata, ma senza il minimo segno di spavento cantava lassù, agitando mollemente quel suo frusto. Era chiaro che non vedeva i due orsi. I due orsi che pure erano lì bene in vista. Come non li vedeva?

Adesso, i chierici, sia sbalorditi che spaventati, cercano di dare un senso a ciò che sta accadendo.

Stupiti dell’indifferenza di quella ragazzina ebbero per un attimo il dubbio che, o quei due orsi fossero una loro allucinazione, o che lei già li conoscesse come orsi del luogo addomesticati e innocui; perché non era in alcun modo ammissibile che non li vedesse: quello più grosso, ritto là e fermo a guardia della strada, enorme controluce e tutto nero, e l’altro più piccolo che si veniva pian piano accostando dondolante su le corte zampe e che ora ecco si metteva a girare attorno al chierico di Flavòn e a mano a mano girando l’annusava da tutte le parti.

A questo punto, i chierici sembrano esser vicini a un ‘punto di non ritorno’, cioè, un punto in cui devono decidere di combattere per le propria vite o di fuggire dalla scena. Scelgono però di non fare nessuno dei due; invece, miracolosamente, i chierici si scambiano un sorriso, e questo, arriviamo a capire, è la prova che Dio ha cercato del coraggio dei chierici.

Il povero giovane aveva alzato le braccia come in segno di resa o per salvarsi le mani e, non sapendo che altro fare, se lo guardava girare attorno, con tutta l’anima sospesa. Poi, a un certo punto, lanciando uno sguardo di sfuggita al compagno e vedendosi pallido in lui come in uno specchio, di colpo, chi sa perché, si fece tutto rosso e gli sorrise. Fu il miracolo. Anche il compagno, senza saper perché, gli sorrise.

Avendo raggiunto il loro obiettivo, gli orsi lasciano rapidamente il sentiero e scendono ulteriormente nella valle.

E subito i due orsi, alla vista di quello scambio di sorrisi, come se a loro volta anch’essi si fossero scambiato un cenno, senz’altro tranquillamente se n’andarono verso il fondo della vallata.

La prova per essi era fatta e il loro compito assolto.

Adesso però le cose si complicano, man mano che i chierici arrivano alla propria interpretazione di questi eventi: credono che gli orsi siano stati una prova, sicuramente, ma che sono stati inviati dal diavolo piuttosto che da Dio.

Ma i due chierici non avevano ancora capito nulla. Tanto vero che lì per lì, vedendo andar via così tranquillamente i due orsi, restarono per un buon tratto incerti a seguire con gli occhi quell’improvvisa e inattesa ritirata, e poiché essa per la naturale goffaggine delle due bestie non poteva non apparir loro ridicola, tornando a guardarsi tra loro, non trovarono da far di meglio che scaricare tutta la paura che s’erano presa in una lunga fragorosa risata. Cosa che certamente non avrebbero fatto, se avessero subito capito che quei due orsi erano mandati da Dio per mettere il loro coraggio alla prova e che perciò ridere di loro così sguajatamente era lo stesso che ridersi di Dio. Se mai una supposizione di questo genere fosse passata loro per la testa, piuttosto che a Dio per la paura che s’erano presa avrebbero pensato al diavolo che all’uno e all’altro aveva voluto farla mandando quei due orsi.

Gli orsi vengono a conoscenza di questa spiegazione alternativa, e sono infastiditi dal fatto che i loro sforzi siano stati malinterpretati in questo modo. Si fermano per attendere ulteriori istruzioni da parte di Dio.

Capirono che invece era stato proprio Dio e non il diavolo allorché videro i due orsi voltarsi alla loro risata, fieramente irritati.

Anche il narratore è infastidito, al punto che desidera vendicare la nefasta interpretazione dei chierici.

Certo in quel momento i due orsi attesero che Dio, sdegnato da tanta incomprensione, comandasse loro di tornare indietro e punire i due sconsigliati, mangiandoseli.

Confesso che io, se fossi stato dio, un dio piccolo, avrei fatto così.

E quale sarà la volontà di Dio? È magnanimo e comprensivo. Avendo avuto a che fare con gli umani per molti secoli, Lui è arrivato ad anticipare il comportamento umano. Ha imparato ad accettare una vittoria per quello che è e poi andare avanti.

Ma Dio grande aveva già tutto compreso e perdonato. Quel primo sorriso, per quanto involontario, dei due giovani chierici, ma certo nato dalla vergogna d’aver tanta paura, loro che, dovendo fare i missionari in Cina, s’erano imposti di non averne, quel primo sorriso era bastato a Dio, proprio perché nato così, inconsapevolmente, nella paura;

Dunque, Dio ordina agli orsi di continuare la loro ritirata nella valle. I due chierici continuano a fraintendere ciò che è appena successo a loro.

e aveva perciò comandato ai due orsi di ritirarsi. Quanto alla seconda risata così sguajata era naturale che i due giovani credessero di rivolgerla al diavolo che aveva voluto far loro paura, e non a Lui che aveva voluto mettere il loro coraggio alla prova. E questo, perché nessuno meglio di Dio può sapere per continua esperienza che tante azioni, che agli uomini per il loro corto vedere pajono cattive, le fa proprio Lui, per i suoi alti fini segreti, e gli uomini invece credono scioccamente che sia il diavolo.

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